All’inizio di agosto la città si è svegliata sotto un velo insolito. Non la calima, ma una nebbia fitta e lattiginosa che ha cambiato i ritmi: contorni cancellati e suoni ovattati. Dalle alture al porto, sono arrivate immagini dello stesso sipario bianco. La causa è l’incontro di masse d’aria: in quota aria calda e umida, nei bassi strati aria più fresca. L’incastro ha prodotto un’inversione termica e la niebla de advección.
Nebbia o calima? La differenza non sta nell’effetto ottico ma nell’origine. La calima è polvere sahariana; la nebbia d’avvezione nasce quando aria umida più calda scorre su una superficie più fredda — mare o terra — e il vapore condensa in miliardi di goccioline sospese. Ne risulta una nuvola bassa che avanza lenta, trasformando la città. Facciate che si dissolvono, campanili come remi nel latte, lampioni ridotti a spilli di luce, palme sospese come in una cartolina. Per chi guida non è solo spettacolo: visibilità ridotta e prudenza obbligata.
È un ospite raro a Santa Cruz, più abituata alla calima. Eppure, a volte, ritorna. Le cronache registrano il 14 febbraio 1983, quando una coltre simile sorprese la città. Da allora aneddoti hanno attecchito nel folclore urbano: c’è chi racconta di aver salutato un idrante scambiandolo per un amico, chi giura di avere chiesto l’ora a un cestino inghiottito dal vapore. Storie che non spiegano ma dicono quanto restino nella memoria.
Gli esperti spogliano il mistero. Nessun prodigio: fisica dell’atmosfera. Se la brezza cala e l’umidità è alta, la massa d’aria mite scivola su superfici più fredde, il vapore condensa e la nube si stende come una tovaglia su tetti e strade. A differenza delle nebbie di pianura, qui orografia e alisei di solito spezzano la stagnazione; quando non accade, l’effetto è teatrale. Talvolta il sole dissolve tutto in poche ore; altre volte la foschia resiste fino al pomeriggio e le vedute riemergono alzando un sipario.
C’è un paradosso felice: disorienta e, insieme, educa. Una mattina di niebla spinge a cercare il termine giusto, a distinguere tra polvere e goccioline, a capire che “avvezione” è trasporto orizzontale dell’aria. La curiosità diventa anche sicurezza: chi riconosce il fenomeno rallenta, rinvia spostamenti, sceglie strade meno esposte. Intanto la città cambia voce: il porto tace, i clacson si smorzano, le sirene sembrano lontane; ogni suono rimbalza sul velo bianco come eco corta.
Poi, com’è venuta, la nebbia svanisce. Il sole riaffila i profili, i balconi ritrovano colore. E resta la traccia: per qualche ora Santa Cruz non è stata se stessa, è stata una città invisibile, un set naturale dove scienza e immaginazione s’incontrano. Non occorre scegliere: la spiegazione racconta il come, la poesia dà il perché. Di quella mattina restano prudenza, stupore e una fotografia mentale che resiste più del fenomeno: una capitale atlantica avvolta in un sogno bianco, effimero e memorabile. Un ricordo comune.