Conosciamoli meglio: Michele Sciotti chef da Dubai a Tenerife

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Conosciamoli meglio: Michele Sciotti chef da Dubai a Tenerife

Ci conosciamo meglio?
Con piacere. Mi chiamo Michele Sciotti e sono di Velletri, in provincia di Roma. Già a dieci anni ho incominciato a coltivare la mia passione per la cucina. In famiglia, naturalmente. Vedevo mia madre e mia nonna cucinare ed è stato con loro che mi sono innamorato della cucina. Il mio piatto di partenza? Gli gnocchi: ho voluto immediatamente imparare come si facessero. Ricordo che mi nascondevo sotto il tavolo mentre mia nonna li preparava e li rubavo dalla tavola per mangiarli crudi!

Qualcuno in famiglia ha lavorato nella ristorazione?
No, nessuno. A 15 anni la mattina frequentavo la scuola e la sera lavoravo in un agriturismo vicinissimo a casa. Dovevo, perché ho perso mio papà a dieci anni, quando mio fratello aveva solo dieci mesi. Mi sono sentito responsabile come se fossi diventato il capofamiglia e con l’aiuto di mia madre – una vera “guerriera” – mi sono rimboccato le maniche. Ho studiano alla scuola alberghiera per cinque anni, a Velletri, e preso il diploma ho cominciato a lavorare nei dintorni di Roma, per poi arrivare da Heinz Beck a Roma, alla Pergola. Avevo quasi vent’anni quando ho bussato alla porta di Heinz Beck e ho iniziato sbucciando patate: la classica gavetta. Quella che conta sempre tanto e che dovrebbe toccare a tutti, in tutti i settori, per conoscere un mestiere a fondo e capire anche lo sforzo di chi impara…

E poi?

Poi ho deciso di andare a Milano, da Carlo Cracco. Ho fatto un’esperienza di due anni anche a Parigi da Joel Robuchon. Nell’estate del 2011 sono rientrato in Italia per la stagione estiva nei litorali romani, dove ho conosciuto un ragazzo che aveva girato il mondo. Gli chiesi informazioni, visto che in Italia cominciavo a sentirmi “un po’ stretto”. Non riuscivo a esprimermi perché in questo settore purtroppo vige un “nonnismo” assurdo e non riuscivo a sfondare. Decisi di andare via, di vedere oltre. Quel ragazzo mi disse che era stato in Malesia, in Australia, a Londra. Mi disse a un certo punto che aveva un amico ad Abu Dhabi che stava aprendo un ristorante in un hotel. Premetto che io non sapevo una parola di inglese… ma nel marzo del 2012 sono andato comunque a St Regis Abu Dhabi. Di fatto ripartivo da zero, ma non mi interessava: il mio scopo era quello, appunto, di imparare l’inglese. Pian pianino ci sono riuscito, mi sentivo più sicuro, avevo capito che quella specie di “tetto” che mi pesava sulla testa avrei potuto sfondarlo… E in due anni e mezzo sono diventato il secondo cuoco della cucina e ottenuto tre promozioni. Allora ho deciso di spostarmi, di andare verso Dubai e ho fatto il mio primo colloquio in inglese per una posizione importante: un colloquio da chef di cucina presso il Jumeirah Beach Hotel, una delle icone di Dubai. In pratica si tratta dell’hotel accanto alla vela.

Deve essere stato fantastico…

Sì, e ti devo dire che quando mi è arrivata l’e-mail di conferma, dopo quel colloquio fatto tutto in inglese, mi sono commosso al punto di mettermi a piangere. Per la gioia, naturalmente; avevano riconosciuto il mio ruolo e accettato la mia persona. Ho trascorso otto anni negli Emirati Arabi, poi il covid mi ha convinto ad andarmene, ma non è stato solo quello il motivo. In realtà avevo voglia di provare altro e un altro posto, per me stesso.

A Dubai Marina riuscivo a gestire 172 persone come Executive Chef in un hotel. Sono stato il secondo chef più giovane di tutti gli Emirati Arabi: avevo 29 anni. Devo solo ringraziare mia madre che non mi ha impedito di credere nei miei sogni, lasciandomi andare.

Perché hai scelto Tenerife per questa nuova fase della tua vita professionale?

All’isola vive mia madre, da sei anni. La decisione di questa nuova avventura l’ho presa con mia moglie, che mi aiuta in sala. Lei ha esperienza in questo lavoro: ci siamo conosciuti ad Abu Dhabi quando era assistente manager in un ristorante. Riparto ancora da zero, ma spero di risalire come sempre “quella scala”… chiamiamola così.

Ci parli del tuo ristorante?
Volentieri, e inizio col dire che nel mio “Ristorante Corallo” propongo cucina italiana a 360 gradi. Non ho dei piatti particolari, ma do il meglio e mi esprimo in tutti i settori della mia cucina. Seleziono io i prodotti, vado io direttamente a scegliere il pesce, ma anche la frutta…Ci sono io in ogni minimo processo di ricerca e di preparazione. Preparo piatti della cucina tradizionale italiana che studio a fondo per poi interpretarli, ma ribadisco: se certe basi sono sempre le stesse, la qualità degli ingredienti è fondamentale. E poi tengo particolarmente al servizio, all’attenzione al cliente, al cosiddetto “savoir-faire”.

Perché il nome “Corallo” al tuo ristorante? È casuale?

Bella questa domanda, perché c’è una piccola storia… Quando sono partito, nel 2012, lavoravo con una persona che mi regalò una collanina con un pezzettino di corallo rosso, come portafortuna. Ho scoperto che il corallo è la pietra dei viaggiatori e fu anche oggetto di scambio nell’antica Roma, per baratto. Io arrivo da Roma, sono stato un viaggiatore, sono ora su un’isola e il mare è l’elemento vitale del corallo. Mi è sembrato il nome più adatto per questa nuova impresa.

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