E se fossi io a sbagliare? Una riflessione dell’editore

Certo, non eravamo preparati, ma altrettanto certo, è che non ne siamo usciti migliori.
Pensavamo di essere intoccabili. Poi la pandemia, a casa nostra, poi la guerra, dietro l’angolo. Ma soprattutto, l’inflazione, ovunque. Perché se gli altri soffrono e muoiono, importa finché la pasta in tavola non si raffredda, ma poi non possiamo certo farci rovinare l’appetito! E invece, gli equilibri che garantivano gli stessi prezzi anno dopo anno, si sono rotti. E allora non si tratta più di sventolare una bandiera o di fare proclami su Facebook. Potremo anche inginocchiarci allo stadio, indossare fascette colorate o tagliarci ciocche di capelli, ma la verità è che poi, alla resa dei conti, non siamo disposti a rinunciare a niente. Non solo: ci dilettiamo nel puntare il dito contro gli altri. La responsabilità è sempre di qualcun altro, la colpa pure. Eppure è proprio questo pigro atteggiamento quello che continua a garantire i nostri fallimenti. Pare che i diritti siano sempre i nostri, mentre i doveri di qualche entità indefinibile.

Inutile fuggire alle Canarie perché in Italia “fa tutto schifo” e non si può più vivere, se poi si continua a rimanere uguali. La capacità di riconoscere i propri errori, di riflettere, di spostare il dito verso di sé, è forse l’unico modo per trovare veramente una strada che apra nuove prospettive. Come eravamo in Italia, così siamo alle Canarie, ma con le infradito. La nostra arroganza, la nostra strafottenza, la nostra ipocrisia, la nostra falsità, parlano più delle nostre belle parole. I Canari spesso ci evitano, e francamente, li capisco. La buona imprenditoria italiana cade in ombra, nascosta dalla maleducazione e dai tanti piccoli truffatori, arrivati dall’Italia. Un flusso costante e legale di furfanti nostrani sbarca regolarmente sulle coste canarie. Non solo ci riveliamo inflessibili e incapaci di adattarci, ma se possiamo, freghiamo pure e volentieri. Ma ricordatevi, miei cari, che solo le fregature sono gratis. Tutto il resto è fatica. E la fatica è l’unica cosa vera, autentica. La fatica di ricominciare da zero, la fatica di imparare una nuova lingua, un nuovo lavoro, di imparare nuove regole, nuova convivenza. La fatica di fermarsi davanti alle strisce pedonali, e la fatica di pagare subito i fornitori. La fatica di leggere per intero un post di Facebook, senza fermarsi al titolo. E se leggessi il contenuto dell’articolo, invece che fermarmi al titolo?
Se invece provassi a capire, prima ancora di accusare, e se, semplicemente, fossi io a sbagliare? Forse la buona notizia, potrebbe essere proprio questa. Perché se fossi io a sbagliare, potrei essere io ad imparare dai miei errori, e addirittura cominciare a risolvere un problema oggi, una grave questione domani. Forse, la vita comincerebbe addirittura a girare nel verso giusto. Quando questo succede, la necessità di criticare gli altri diventa superflua, non ci interessa più, perché i risultati che otteniamo ci gratificano. Più si fa, meno si critica, è semplice, anche se faticoso.
In tal senso, auguro buona fatica a tutti, a Natale e nell’anno a venire.
Cordialmente,
Antonina Giacobbe