Talenti italiani a Tenerife. Il Premio Italo Calvino ha gratificato la nostra connazionale Cinzia Panzettini
Il Premio Italo Calvino, alla sua XXXVI edizione, ha gratificato la nostra connazionale a Tenerife, Cinzia Panzettini, inserendo il suo romanzo “Rondò di Risera” tra i “30 gloriosi”.
Così sono stati definiti, sul sito del premio, i trenta romanzi che, decretati i vincitori, hanno meritato una speciale menzione. Trenta, sui quasi novecento in concorso al premio Calvino, che è il più importante in Italia per opere prime inedite di narrativa. E la motivazione per la scelta di “Rondò di Risera” recita: “Per la resa attenta e affettuosa del mondo di risaia che fa da sfondo a una catturante vicenda dai toni del feuilleton, con una buona gestione dell’intreccio, dei colpi di scena, delle rivelazioni”.
Cinzia Panzettini, editor e sceneggiatrice, è un’articolista di “ViviTenerife” e un’amica. Il suo romanzo è ambientato nella stagione della monda del 1949, in un paese del vercellese dove si intrecciano le vicende di due uomini molto diversi tra loro. Il primo, Giacinto Aglietti, è un uomo di leggendaria bellezza, estroverso e divertente, ma fatuo e infedele. Quando sparisce nel nulla, in una notte di luglio, tutto il paese lo cerca giorno e notte tra le risaie, con il timore che possa essersi preso una schioppettata da un marito geloso o da un padre esasperato. Guida le ricerche il medico condotto di Risera, il dottor Massimo Gregori, uomo di tutt’altra pasta. Scapolo, introverso e solitario ai limiti della misantropia, in assenza dell’Aglietti un equivoco lo precipiterà in un pasticcio grottesco, a tratti esilarante, costringendolo a occuparsi della famiglia di quello scellerato fuggito appresso a una sottana.
Sullo sfondo di una vicenda divertente, e a tratti comica, si muovono le mondine di “Rondò di Risera”. E il loro lavoro disumano, le loro storie, le loro privazioni, aprono a sentimenti imprevedibili, inediti e toccanti, raccontati a Cinzia dalle anziane ex mondine intervistate prima di mettersi al lavoro sul romanzo.
«Mi ha stupita la loro nostalgia, e persino il loro rimpianto per una “libertà” che, se non calata in quel contesto e in quell’epoca, a noi oggi parrebbe solo una galera. Possiamo immaginare quelle donne intente a un lavoro che nemmeno le bestie, ma tutte hanno desiderato raccontato anche altro» mi ha detto Cinzia, che poi ha spiegato:
«Per quaranta giorni l’anno, quelle donne erano libere dall’autorità di padri, mariti e fratelli. Libere dai maltrattamenti, anche. Si sentivano privilegiate perché lavoravano in regola, anche se con una paga misera; perché mangiavano tre volte al giorno e potevano ballare, la sera, alla musica dei “sunadur” nelle corti delle cascine. Scalze, coi piedi già martoriati dalla monda, per non sciupare il loro unico paio di zoccoli. E osando il “blet”, il rossetto, acquistato in società con le compagne. O si bistravano gli occhi con un pezzetto di carbone di legna, o sfumavano sugli zigomi la raschiatura di un mattone ben pestata con un sasso. A casa, controllate a vista dagli uomini e dalle stesse madri – severissime: se una ragazza non veniva su “dritta” la colpa era loro – il trucco sarebbe stato impedito o levato a schiaffi, ma… più di una ex mondina mi ha chiesto di non scrivere un altro “Riso amaro”.

Cosa facile, trattandosi di un capolavoro del Cinema italiano… che alle mondine, tuttavia, non è mai piaciuto. Mi hanno spiegato il perché, l’ho capito, così nel romanzo ho lavorato sulla loro richiesta di non raccontare solo le lacrime – che c’erano – ma anche le risate nei dormitori e quel senso di libertà. La mondina più anziana, ormai novantenne, mi ha detto di crederle, se alla fine, era stata bella anche la loro disgraziata gioventù…
Mi ha commossa. Poi, nel romanzo, è vero che la bellissima e giovane mondina Loredana Lunardon, veneta di Occhiobello e protagonista tra i principali della storia, preferirebbe morire giovane, di fatica alla monda, pur di non tornare alla sua casa. Parlo dell’Italia più misera del 1949, quando non era ancora iniziata la ricostruzione, il lavoro non c’era e la fame era tanta. Tra l’altro, ho scelto il 1949 perché proprio in quell’anno era stato messo a punto il diserbante che la monda l’avrebbe fatta sparire, nel volgere di poco più di un decennio. Ho voluto che tutti i protagonisti fossero ignari di scrivere i titoli di coda di un paesaggio umano irripetibile… e fortunatamente, direi.»
Congratulazioni Cinzia, di cuore e con affetto.
“Vivi Tenerife” ti aspetta per un’intervista nella quale vorrò chiederti di più, perché parlando tra noi delle tue ricerche, ho scoperto un mondo incredibile e interessantissimo, che va diffuso e mai perso.
Ti aspettiamo!
Antonina
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