A cosa serve un bite? Come funziona? Quali vantaggi offre, e quali sono i possibili svantaggi? È importante dare risposta a queste domande perché una terapia dentale che passi attraverso bite (o placche) va affrontata con molta attenzione per non rischiare di danneggiare la nostra postura.
Ecco quindi qualche riflessione sul tema (e un grazie al direttore di questa rivista per l’attenzione riservata al vasto argomento della salute).
Malocclusione e disturbi posturali
Insomma, finché ho abbastanza denti in bocca non ho problemi. Che importa se sono belli o brutti, se sono “bassi” o se me ne manca qualcuno? Tanto servono solo a masticare…
Questo è ciò che molte persone pensano, ed è una premessa necessaria per chiarire un concetto fondamentale. E cioè che i denti non servono soltanto a masticare il cibo.
Se sono “bassi” e sbilanciati, per esempio, incurvano il corpo: in avanti, se manca spessore sui molari; lo piegano di lato di lato, se manca spessore a destra o a sinistra. Definirli semplicisticamente “apparato masticatorio” significa perciò ignorare che i denti hanno l’importantissima funzione di tenere dritto il corpo. Il che significa che chi ha dolori alla schiena, al collo o lamenta in generale disturbi posturali quasi sicuramente è maloccluso. Vale a dire che i denti dell’arcata superiore non sono perfettamente allineati con quelli dell’arcata inferiore. La buona notizia è che qualsiasi difetto di postura può essere eliminato lavorando sullo spessore dei denti posteriori, anche solo di pochi millimetri.
Il bite: un sistema ergonomico
Di solito la malocclusione viene affrontata con l’applicazione di un bite. Ma che cos’è un bite?
Chiamato anche splint, michigan, hawley, jig, ferula, mouth guard ecc., è una placca, normalmente in resina, che, in presenza appunto di malocclusioni, si pone tra le due arcate dentarie per far sì che combacino meglio; i denti e la loro disposizione originaria non vengono dunque modificati in maniera permanente. Il bite ha lo scopo primario di correggere la dislocazione della mandibola, collocandola in posizione fisiologica; di norma non sostituisce denti mancanti (perciò non è una protesi), ma si aggiunge e si interpone tra quelli preesistenti. È dunque un’ortèsi, cioè un apparecchio correttivo esterno.
Un bite deve essere progettato con molta attenzione, tenendo in considerazione soprattutto i suoi effetti sull’intera postura: deve essere cioè concepito in modo ergonomico, come avviene per esempio nella progettazione di un plantare.
Diagnosi e terapia
Il bite permette di modificare in modo reversibile lo schema occlusale preesistente senza intervenire in modo massivo sulla dentatura. Il suo utilizzo è generalmente da considerarsi temporaneo, talvolta diagnostico, in attesa di un’eventuale terapia occlusale definitiva: riabilitazione stomatognatica, molaggio selettivo (sottrazione), trattamento protesico (addizione) o, nei casi estremi, chirurgia ortopedica (spostamento). È bene sottolineare che di norma il problema risiede in una mancanza di idonea altezza dentaria, pertanto il molaggio selettivo va utilizzato solo in rari casi e in maniera opportuna.
In conclusione: non sempre una riabilitazione dentale permette al nostro corpo di essere in salute.
A.A.
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