Siamo negli anni ’50, il processo demografico non si arresta e così nemmeno il flusso migratorio: i quartieri esterni si riempiono, la vita all’interno di queste isole municipali si fa sempre più difficile e distante dalla realtà cittadina, ma questo disagio in un qualche senso viene alleviato dal costituirsi interi nuclei di concittadini,
isolani e spagnoli, coincidente le nuove realtà dei sobborghi marginali: sono intere comunità di gomeri a formare le borgate de Las Moraditas, Taco, San Matias, Él Cardonal, La Salud, di gitani del rione de La Candelaria, fuerteventurensi e del Hierro a Cuesta Piedra, asturiani, andalusi e galeghi nell’omonima borgata de La Gallega, grancanariensi e dall’isola di La Palma nei settori costieri settentrionali.
{loadposition adsense-riquadro-articoli-piccolo}In questi periodo si tenta nuovamente di stilare un altro piano regolatore, per riordinare gli spazi cittadini arretrati ed anarchici: l’unica nota positiva che ne esce é riconoscerne le entità, ma nella sostanza vengono ignorati completamente, considerandoli come punto di passaggio per un’ampliazione della ramificazione viaria (ad esempio di questo, è lo spostamento del nucleo meridionale de Las Monjas che viene “riabilitato” per far spazio all’ampliamento della carretera a mezzogiorno).
Il municipio, probabilmente per eccesso di colpa, continua a condonare i terreni, “legalizzando” le speculazioni edilizie ad opera dell’oligarchia terriera sulle spalle della casta proletaria e dell’autorità amministrativa vigilante. Le uniche – e limitate – riforme che furono attuate per accogliere la pressione di richiesta di accesso alla casa, furono quelle del Comando di Canaria (Mando de Canarias) con la costruzione delle Barriadas popolari de La Victoria e del General Garcia Escamez, pronte ad accogliere in palazzoni, un numero consistente di disagiati.
Le misure locali inconsistenti finirono con esasperare la situazione: si occuparono illegalmente i terreni a nord-est della scarpata montagnosa (nascita del quartiere de La Alegría),si popolarono le grotte pubbliche all’interno del nucleo cittadino ed infine si fabbricarono abitazioni rudimentali sui cigli dei principali barrancos, le chabolas.
La situazione precipitata, il quadro che si dipinse fu molto simile ad un panorama contemporaneo di una qualsiasi baraccopoli del terzo mondo e che scopriremo, nel prossimo numero. Alessandro Giacomi – foto by panoramio