Italiani all’estero. Non siamo più solo Maria, Giulia, o Alberto, ma diventiamo anzitutto italiani

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Italiani all’estero. Non siamo più solo Maria, Giulia, o Alberto, ma diventiamo anzitutto italiani

La statua di Cristoforo Colombo negli USA e la ferita della comunità italo-americana

L’avevo già scritto tempo fa: quando si lascia l’Italia, per andare a vivere altrove, le categorie di identificazione mutano. Non siamo più solo Maria, Giulia, o Alberto, ma diventiamo anzitutto italiani. Italiani all’estero. E come italiani veniamo riconosciuti, osservati e giudicati. Loro lo fanno con noi, noi lo facciamo con loro. Questo si ripete ovunque, all’infinito.

La statua di Cristoforo Colombo ha una valenza per gli italiani emigrati che Maria, Giulia e Alberto non comprendono, perché non ne hanno fatto esperienza. Nelle città degli Stati Uniti c’è sempre una statua di Cristoforo Colombo (lo stesso non si può affermare per l’Italia), ed è difficile pensare che la comunità italo-americana non provi sofferenza verso la tendenza sempre più diffusa a vandalizzare se non addirittura abbattere le statue del navigatore genovese negli Stati Uniti d’America.

Sarebbe bello riuscire ad uscire dal recinto, per cercare di osservare, senza giudizio, presa di posizione, o condizionamento ideologico, ed esplorare la natura umana e universale dei comportamenti. Ma non ci riusciamo, perché ogni nostra espressione è soggettiva. Ad ognuno importa solo di sé stesso. Dubito che le minoranze etniche in America soffrano per le persecuzioni attuate in Tibet, per gli abusi a matrice schiavista a Dubai o in Qatar, o per le discriminazioni in Russia nei confronti degli omosessuali. A loro importa, comprensibilmente, solo di sé stessi. Se il loro vicino è nato in Tibet o in Russia, a loro non importa.

Se milioni di persone, provenienti da ogni angolo della terra, hanno trovato rifugio negli Stati Uniti, a loro non importa, e si dimenticano che proprio gli Stati Uniti d’America sono un esempio di integrazione come pochi. Non ottimale, non concluso, in continua evoluzione, ma rappresentano comunque un laboratorio di convivenza unico al mondo. Perseguitati politici, religiosi, in fuga dalle guerre, dissidenti, hanno trovato rifugio negli USA. Non è stato un processo indolore, e continua a fare male. Ma non sarebbe serio non considerare quanto costruito fino ad ora. E non sarebbe onesto ignorare il fatto che se in America sei bravo a fare qualcosa, tutto il resto non conta: si chiama meritocrazia, quella cosa che permette ad ogni individuo capace di raggiungere i propri obiettivi, a prescindere da razza, colore della pelle, appartenenza religiosa.

La meritocrazia è poco diffusa nelle democrazie europee (in particolar modo nei paesi del Sud Europa) e praticamente inesistente nei vari regimi dittatoriali sparsi per il mondo.

La storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti è una storia di riscatto, di speranza, di persone semplici in fuga da fame, guerre, persecuzioni. Abbiamo esportato anche la Mafia, certo, ma abbiamo soprattutto contribuito alla costruzione e alla crescita di quel paese, che è grande proprio perché ha saputo sfruttare il contributo di ogni comunità che vive in suolo americano. Ed è grande perché ci consente di osservare e giudicare fenomeni condannabili. Ma noi occidentali sappiamo guardare solo a casa nostra, e ci permettiamo di giudicare, come se nelle altre case non succedesse esattamente la stessa cosa.

Gli italiani d’America si identificano fortemente con Cristoforo Colombo, perché lo considerano il simbolo del loro riscatto. La strada per la loro integrazione e per il riconoscimento dei loro diritti è stata lunga e dolorosa. 20 milioni di americani di origine italiana assistono allo sdegno collettivo verso quel simbolo per cui provano da sempre ammirazione. Si distruggono le statue di Cristoforo Colombo, e si lasciano intatte quelle di George Washington e Thomas Jefferson, latifondisti e proprietari di schiavi, mentre agli italoamericani è stato rubato un sogno, e il risveglio è molto amaro.

Le statue del navigatore genovese erano state poste dagli italo-americani per onorare colui che ha “scoperto” l’America e per legittimare la propria presenza negli Stati Uniti, in un periodo in cui gli immigrati italiani erano considerati feccia indesiderabile in una società protestante e di origine anglosassone. L’intento non era certo quello di celebrare un genocida.

Ma la comunità italo-americana è oggi una realtà determinante della società americana. Adesso bisognerà capire cosa succederà e quali saranno le reazioni di questa comunità, soprattutto dopo che alcune città importanti, oltre a rimuovere le statue di Cristoforo Colombo, avevano già cancellato il Columbus Day (evento che si celebra il 12 ottobre, data delle scoperta dell’America, e che coincide con la festa della comunità italo-americana). Certo, nella indecifrabile ricerca della propria identità, lo spazio all’Italianità in America non potrà essere negato.

Francesca Passini

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