La lingua impiegata come arma è talmente pericolosa che può produrre grossi danni

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Sul nostro pianeta ci sono 5 animali che usano la lingua come arma. Il primo è il formichiere, che scava nei nidi delle termiti e nei formicai per poi introdurvi la sua lunga lingua appiccicosa e ritrarla ricoperta dei soli insetti di cui si nutre.

Il secondo è l’armadillo, piccolo animale corazzato che ha una dieta più variata, molte formiche, lombrichi e lucertole. Per le formiche usa la stessa tecnica del formichiere, anche se non ha la lingua così appiccicosa.

Il terzo è il camaleonte, che proietta fulmineamente e infallibilmente la sua lingua provvista di un’estremità prensile fino a più di 20 cm di distanza per colpire gli insetti (locuste, mantidi e grilli) di cui si nutre quasi in esclusiva.

Il quarto è il rospo, che afferra con la lingua tutti gli insetti che gli vengono a tiro. Una lingua che è un’arma letale per tutte le prede di questi animali.

Il quinto è l’Homo sapiens (homo homini lupus, l’uomo è un lupo per l’uomo), che adopera la lingua per modulare la voce in parola o per masticare e poi inghiottire quel che si mette in bocca. Il cortese lettore obietterà che la lingua usata per parlare o per mangiare non è un’arma, ma solo uno strumento, e ne convengo anch’io.

La lingua umana viene adoperata anche per fischiare, niente di riprovevole, ma si trasforma poi in arma pericolosissima e deleteria quando viene usata per la maldicenza che, ne converrà anche il gentile lettore, è una consuetudine paradigmatica della razza umana, estremamente dannosa e spesso letale per la pacifica convivenza. Spinta oltre ogni limite la semplice maldicenza degenera e degrada in diffamazione e diventa poi, simile al venticello che si trasforma in fragorosa tempesta di rossiniana memoria, calunnia qualificata.

L’uso della lingua come arma che manipolata con perizia permette risultati devastanti senza far incorrere nel codice penale è particolarmente in voga nel mondo politico.

La lingua impiegata come arma è talmente pericolosa che può produrre grossi danni anche quando, senza cattive intenzioni, non si riesce a tenerla a freno. Da lì l’insegnamento di un politico di lungo corso che mi diceva: “In politica ci vogliono 10 anni per imparare a parlare e 20 anni per imparare a tacere”.

E`una battuta, ma come tutte le buone battute con un fondo di innegabile verità. Da quel che sento nei dibattiti televisivi devo concludere che molti politici imparano a tacere solo quando entrano in agonia.

Fin che sono vivi e vegeti parlano, parlano e ancora parlano, incuranti dei possibili danni. Qualcuno, è un’altra battuta, ha detto che prima di parlare bisognerebbe sempre accertarsi che la lingua sia già collegata al cervello.

E qualcun altro invece di limitarsi al detto (memorabile?) ha pensato bene di creare addirittura una regola: la regola delle 10 “P”: Parole Poco Pensate Portano Pena; Perciò Prima Pensa e Poi Parla.

Dr. Gianfranco Soldati

Foto Antonio Papi

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