Gentile Direttore,
le sarei grata se volesse pubblicare questa mia riflessione che risponde in parte, alla lettera al Direttore dell’ultimo numero, firmata Giovanni Comoli. (rif. numero di Febbraio 2016 pag.38) http://www.vivilecanarie.com/it/inviato-dai-lettori/vivi-tenerife/inviati-dai-lettori/alcuni-avvenimenti-di-cui-sono-stato-testimone-negli-ultimi-due-mesi-a-tenerife-2450
E’ con il massimo rispetto per le idee del Signor Comoli, che vorrei però offrire uno spunto di riflessione di segno totalmente opposto. Frequento assiduamente le Canarie da un anno, e mi sono trasferita da tre mesi con mio marito e mio figlio. Ho vissuto in Italia rispettando le regole – ” peggio di un crucco”- come dicono i miei figli, combattendo la furbizia, scontrandomi con la disonestà, rifiutando di usare i percorsi alternativi offerti dagli amici degli amici, che, condivido, sono la malattia che avvelena il nostro paese.
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Non sono venuta qui cercando cortesia e giornate di sole.
Personalmente non credo che 44.000 persone, i soli italiani di Tenerife sud, affronterebbero il trauma di interrompere una vita e provare a costruirne un’altra, per un motivo così fragile.
Ho lasciato con amarezza, rabbia e dolore il mio paese, immensamente più bello di quest’isola piena di fascino ma aspra e lontana. Chi ha lasciato le campagne emiliane, le vie di Firenze, il mare pugliese, i fiori, i fiumi , i musei del nostro paese, doveva avere e sicuramente aveva, un motivo molto importante per farlo.
Io avevo la sensazione che mi si fosse rotta la macchina della felicità.
I numeri complessivi che raccontano la presenza degli Italiani in Inghilterra, Spagna continentale, Canarie, sono cifre da esodo. Sto conoscendo tanti italiani che non sono affatto furbi in vacanza, sono esuli, bellissima gente, con storie di valore, sogni di valore, che aveva tutta la cortesia e il sole di cui aveva bisogno in casa propria, ma guardando avanti, non vedeva più un futuro.
E’ vero, gli italiani di cui parla il Signor Comoli esistono eccome, la prima agenzia mi ha chiesto 5000 euro per un NIE, ma credo che concentrarci sempre sulla caricatura di Alberto Sordi, non ci abbia aiutato a salvare il nostro paese, non ci abbia aiutato a rimanere a casa, non ci aiuterà a costruire un futuro migliore qui. Decidere a priori che gli italiani sono un popolo tarato e senza speranza di redenzione, è meno faticoso che pagare il prezzo della collaborazione, dell’impegno comune, della civiltà che è una merce di lusso e costa cara.
Mi piacerebbe se iniziassimo a concentraci sugli italiani come il Signor Comoli, felice di fare la fila, sui lavoratori serissimi e i genitori innamorati dei propri figli, sui nostri ragazzi pieni di sogni, sulle persone di talento che hanno portato il sangue buono del nostro paese fin qui.
La diffidenza reciproca, il vizietto di salvarci da soli, non li aiuterà ad esprimerlo, ci darà probabilmente un futuro troppo simile al passato che non ci piace. Vorrei che imparassimo a pensare a noi stessi e alle persone che stimiamo, quando diciamo “italiani”.
Vorrei che imparassimo a non considerare figo l’individualismo, e nazional- popolare la disponibilità ad associarsi, cercarsi, mettersi a disposizione, una volta tanto, fra persone oneste. Cerchiamoci, conosciamoci, le selezioni verranno da sé per affinità naturale, ma non commettiamo l’errore di non creare
spirito di comunità. SU 44.000 italiani a Tenerife sud, un paio di migliaiate di persone serie, ci sono. Dovremmo imparare dal ramo guasto degli italiani che se la spassano impuniti in casa nostra, almeno la formula vincente della grande forza che deriva dal mettere insieme le persone, attorno allo stesso scopo.
Penso onestamente che iniziare ad amarci un po’ di più e cambiare l’immagine mentale che noi per primi colleghiamo alla parola italiani, sia un necessario punto di inizio per raccontare in questo angolino di mondo, quanto era bello, quanto era sano, quel paese diverso dagli stereotipi della stampa internazionale, dai pregiudizi, dai politici, dai giornalisti addomesticati, che abbiamo messo nella valigia, e portato fin qui.
Claudia Sini