Risposta a: lettera al Direttore sul numero di Aprile

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Gentilissima Direttrice.

Spero di non sembrarLe invadente, ma mi sento in dovere di commentare quanto scritto dalla Sig.ra Claudia Sini come lettera al Direttore sul numero di Aprile.

http://www.vivilecanarie.com/it/inviato-dai-lettori/vivi-tenerife/inviati-dai-lettori/lettera-al-direttore-2581

Prendendo spunto dalla mia lettera che Lei aveva gentilmente pubblicato il mese prima, la signora ha invitato tutti ad una riflessione sulle opportunità che abbiamo come popolo per mostrare a noi stessi e agli altri le nostre capacità di rinascere dalle ceneri.

Sono d’accordo con la Signora Sini sul fatto che dobbiamo sentirci orgogliosi di essere italiani. L’Italia è il più bel Paese del mondo, siamo praticamente la culla della civiltà. Ogni città è un museo all’aria aperta e possediamo la maggior parte dei beni artistici del mondo per non parlare delle migliaia di chilometri di coste e dei panorami su monti e laghi. Abbiamo inventato la pizza, la cultura della pasta e del caffè. Abbiamo perso due guerre e ne siamo usciti “vittoriosi”. Siamo una terra senza materie prime nè energía e alla fine del secolo scorso siamo cresciuti fino a diventare la settima potenza mondiale. Armani, Ferrari, San Pellegrino, Barilla e centinaia di altre marche rappresentano il Made in Italy e sono diventate famose in tutto il mondo.

Allora, mi chiedo io, perchè questo esodo? Come fa notare la signora, gli italiani stanno abbandonando in massa un favoloso Paese per emigrare verso altri Stati, come ad esempio Inghilterra, Spagna e Canarie. Vedere questa valanga di connazionali che emigrano alla ricerca di qualcosa che non esiste da nessuna parte mi rende triste.

Sì, perchè, mi perdoni Signora Sini, la sensazione che io ricevo è quella di un’esasperata ricerca dell’ “isola che non c’è”.

Io e i miei amici e conoscenti che siamo arrivati in quest’isola negli anni ’90 o quelli che sono qui da almeno dieci anni, siamo confusi. Non capiamo cosa sta succedendo e (parlo per me ma sono sicuro che molti di loro condividono la mia sensazione) devo confessare che ho maturato una certa insofferenza verso i “nuovi arrivati”. Se critico il comportamento di alcuni di loro è perché non ci vedo motivazioni profonde. Emigrare significa prima di tutto integrarsi, cioè essere capaci di abbandonare le proprie abitudini per accettarne delle nuove. Una persona che emigra portandosi dietro i suoi usi e costumi, sta solo spostandosi geograficamente, non fa una scelta, non approfitta del cambio per modificare anche il proprio atteggiamento, spesso colpevole del suo stesso malessere. Emigrare significa anche, eventualmente, riconoscere il fallimento personale e quello del popolo a cui si appartiene e, di conseguenza, avere un comportamento umile verso chi ci sta ospitando.

Forse ci stiamo scordando che l’emigrazione è una cosa seria, in molti casi è stata una tragedia per le famiglie e non si può affrontarla come se fosse una scampagnata. Mi piacerebbe vedere più spessore, più profondità. Comunque, se mi permette, approfondiremo il tema dell’emigrazione in una prossima occasione.

Cordialmente! Giovanni Comoli

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