Caro Direttore,
Mi permetto di commentare brevemente il tuo editoriale “Cultura italiana …” che in parte ottiene già delle risposte nell’articolo che segue sulla stessa pagina “Riflessione”. (ndr articoli pag. 2 novembre 2016)
Per un lungo periodo sono stato dirigente responsabile della Regione Piemonte per i rapporti con gli emigrati nel mondo. Sono passati quasi vent’ anni ma, se si prende in considerazione il cambiamento nei comportamenti, pare un secolo. Quale attaccamento alla madre Patria (ora se fai un tale riferimento ti guardano storto), quale intensità di sentimenti per il lontano Paese, che voglia di vivere a distanza e trasmettere ai giovani le tradizioni, la storia, gli usi e costumi degli avi! Purtroppo erano quasi tutti anziani e con il passar degli anni l’Associazionismo (non solo quello) d’oltre confine non si è molto rinnovato, c’è stato un modesto passaggio di consegne e, conseguentemente, si è logorato il collante motivazionale che lo ha creato.
Mi dirai cosa c’entra con il disinteresse dimostrato per la tua lodevole iniziativa? Ritengo purtroppo sia in perfetta assonanza con quanto constatiamo ogni giorno, non solo in Italia, sia negli atteggiamenti individuali sia nei comportamenti sociali collettivi: individualismo esasperato, egoismo comportamentale, abbassamento dei livelli di solidarietà, con penosa adesione ai richiami populistici, scarso senso etico, prevalenza dei diritti sui doveri, poca attenzione alla propria dignità e ai valori fondamentali del vivere civile (ovviamente con ripercussioni sulle istituzioni e sulla famiglia). Un quadro pessimistico?
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Forse sì e vorrei tanto lo fosse, ma temo che il processo di globalizzazione abbia travolto l’essere umano trasformandolo sempre più in oggetto, cittadino del mondo senza patria, apolide culturale anziché portatore di cultura, della propria storia e tradizione.
La speranza sta in una possibile stabilizzazione di un processo di trasformazione che trovi nuovi equilibrii e nuovi valori su cui attestarsi per ripartire verso una ricomposizione sociale che consenta all’uomo di ritornare attore, partecipe cosciente di interessi collettivi allargati e solidali. Ma di quello che noi oggi mettiamo in discussione probabilmente non ci sarà più traccia (se non per le coscienze più sensibili) e l’offerta di cultura e di cooperazione dovrà tenerne conto.
Gianfranco Guazzone