I miei primi giorni di quarantena. Una questione da maneggiare coi guanti

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I miei primi giorni di quarantena. Una questione da maneggiare coi guanti

Prevedo che anche Tenerife si fermerà e devo dare una rimpolpata alle provviste, quindi esco a fare la spesa.

Infilati i guanti di lattice, poco dopo sono al mio solito supermercato dove scopro che tutti hanno previsto che Tenerife si fermerà, sicché mi ritrovo parte di una ressa di gente che manovra carrelli stracolmi di cibo, di forniture per alberghi di carta igienica (…) e di bambini che piangono. Bravi, portateci i bambini a fare la spesa con tutta la famiglia, così spingendo un carrello ci si può infettare tutti insieme, no?

La folla è pazzesca, le code alle casse sono chilometriche e il metro di distanza prudenziale tra individuo e individuo è pura fantascienza. Come lo è tutta la dannata faccenda, ormai.

Decido che opterò per una spesa misurata e meditata: niente sindrome della “tana di Cip e Ciop”, tanto sembra evidente che non è di fame che rischieremo di tirare le cuoia. Dopo quaranta minuti di coda alla cassa e con la tentazione di mollare tutto a costo di vivere di riso e riso, come all’Isola dei Famosi, sistemo tutto in auto, parto, e dopo essermi trascinata le borse dal garage all’appartamento le appoggio a terra, mi sfilo finalmente i guanti e mi lavo le mani. E visto che ci sono me le disinfetto pure, va là, che una volta in più è meglio di una in meno.

Non sono un’ipocondriaca, premetto. Se da giorni dormo abbracciata all’unico flacone di Amuchina trovato all’isola di Tenerife, dopo appostamenti da consumato predatore, è solo per farlo sentire di casa… Comunque tiro su da terra il primo sacchetto di carta della spesa, lo appoggio al piano di lavoro della cucina e, nel gesto di disporre gli alimenti in frigo e in dispensa, mi fermo. Un momento: se ho toccato qualcosa di infetto coi guanti, poco poco ho contaminato le chiavi, la maniglia e il volante dell’auto; poi il pulsante dell’ascensore, la maniglia di casa e giustappunto i sacchetti della spesa

Maledizione! Mollo tutto, mi rilavo le mani e prendo le confezioni di alimenti per disporle in frigo senza toccare la borsa, ma mi ri-blocco perché anche le confezioni le ho toccate con gli stessi guanti! E non basta, visto che ho appena toccato il telefonino a mani nude e lo avevo toccato coi guanti al supermercato per rispondere a una telefonata… Disinfetto, sbuffando, il telefonino e poi di nuovo le mani.

Cosa sta succedendo? Cos’è ‘sta tiritera? Devo solo ragionare e muovermi serenamente usando la testa, no? Basta essere logici. Adesso mi pare tutto assurdo, poi col tempo… Trovo il pensiero allucinante: “col tempo”? Quale tempo? Io ho avuto un’infanzia con le mani sporche di terra h24! Io ho vissuto la mia adolescenza dando morsi al ghiacciolo degli amici e loro al mio! Certo crescendo non l’ho più fatto, ma ora che caspita sta capitando?

Basta: non devo semplicemente sottovalutare che il contagio avviene attraverso la tosse, gli sternuti e il contato con le mani che poi posso portarmi sbadatamente alla bocca, al naso e agli occhi. E sin qui ci siamo arrivati tutti, ma inizialmente pareva che il virus, su una superficie, avesse a disposizione nove minuti prima di schiattare tra gli applausi… ora invece c’è chi dice che schiatti molto dopo.

Quanto dopo? Chi lo dice? E chi lo dice è un Virologo o un opinionista della D’Urso?

Gli esperti dicono che “dipende”… Qualcuno sostiene ad esempio che sul cartone l’infame viva anche 24 ore. E il mio sguardo va a posarsi, allucinato, sulle borse della spesa di carta spessa, praticamente in simil cartone! Sono lì, belle appoggiate sul piano di lavoro della cucina.
Infilo i guanti puliti e altro giro di disinfezione.

Poi c’è chi dice che il virus sui metalli ci stia comodo come su un canapè, quindi addio alle mie lattine di Coca Zero belle fresche e bevute “a canna”. Mentre maneggio tutto lo scatolame come se mi accingessi a disinnescare una mina, mi chiama mia madre:
«Ti spiace se ti richiamo, mamma? Sto disinfettando i fagioli.»
Silenzio. «No, scusa: volevo dire che…» Spiego, e lei mi dice che ha fretta perché si è appena resa conto di non aver disinfettato la mortadella in vaschetta. Il dialogo, breve, è surreale. Mi viene da ridere, mentre con il panno-carta disinfetto l’interno del frigorifero e ci infilo gli alimenti ormai asettici come ferri chirurgici. Finalmente distesa sul divano impugno il telecomando e, oddio: non ho disinfettato il telecomando! L’ho spostato con i guanti usati al supermercato per…

Sentite, ma per disinfettare a fondo la casa secondo voi una sana latta di buon vecchio cherosene e un accendino, no? Chiedo per un’amica.

Ho scherzato. Ho esagerato perché essere prudenti non deve significare diventare prede della paura. Usiamo il buonsenso e ora che abbiamo fatto il possibile, #iostoacasa!

Anzi: #noistiamoacasa, giusto?
A presto!

Cinzia Panzettini

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