Il senso del balcone ai tempi del virus. Balconear, balconare, balco-nazis
Non erano state le immagini di animali morti nei mercati di Wuhan ad impressionarmi durante i telegiornali, lo scorso gennaio. Immagini che al comune cittadino europeo non risultano più così esotiche. Furono invece quelle dei “grattacieli urlanti” ad impressionarmi. Sterili grattacieli, dai quali scappavano voci. Quelle dei condòmini, che si incitavano e incoraggiavano a vicenda, in pieno isolamento, senza potersi guardare, fosse anche da lontano, senza poter comunicare con l’esterno, e senza poter soddisfare quel bisogno di identificarsi con l’altro, anche e soprattutto nella paura. Nella “sfiga collettiva” – concedetemi questa espressione, viviamo tempi eccezionali – i cinesi, non avevano nemmeno un balcone da cui affacciarsi, per rimanere aggrappati alla vita che scorre.
Poi è toccato a noi. Nella “sfiga collettiva” (sud) europea, noi, almeno, abbiamo i balconi.
Il clima ci aiuta, nell’Europa meridionale. Nella storia dell’edilizia, le temperature giocano da sempre un ruolo fondamentale nella concezione delle abitazioni. Come anche i regimi. Non mi ricordo molti balconi, nella ex-DDR, e mi sembra che nelle moderne città cinesi ve ne siano altrettanto pochi. Se nella storia, i balconi venivano costruiti per osannare potenti prima, e celebrità dopo, negli ultimi decenni rappresentano un processo di democratizzazione delle condizioni abitative. E, a seconda della classe sociale, come anche dell’indole degli individui, se ne determina l’uso.
In base a gusti, tendenze, concezioni del proprio ordine materiale, religioso e politico, il balcone ci rappresenta, forse più dell’abito che indossiamo come una maschera, quando usciamo a recitare, mentre il balcone manifesta forse un’espressione più sincera, perché “giochiamo in casa”, e a casa nostra, le regole le stabiliamo noi.
Osservando i balconi, si possono comprendere molte cose di chi li abita. Ma più complessa è l’osservazione dal balcone verso il mondo esterno. In America Latina, in particolar modo in Argentina e Uruguay, è di uso comune il termine lunfardo “balconear”. Ormai consolidato nei dizionari accademici della lingua spagnola e delle sue varianti americane, il termine sta ad indicare diversi atteggiamenti attribuiti alla persona che, dal suo balcone, osserva il mondo. Si può stare al balcone per farsi gli affari degli altri, per spettegolare, ma anche per osservare con certo distacco, senza farsi coinvolgere in prima persona.
Quest’ultima è l’accezione più diffusa, grazie anche ad un Influencer di eccezione, come Papa Francesco, che, sdoganandola nei suoi discorsi, ha spinto gli “operatori del settore” a fissarne regole e definizioni, nonché a tradurla nel nostro italiano “balconare: v. tr. Avere un atteggiamento distaccato rispetto alla realtà circostante, stare alla finestra senza partecipare a ciò che accade (treccani.it)”. Un’accezione che può anche manifestare l’intenzione di giudicare il comportamento degli altri.
Un’intenzione, quella del giudizio, che ha dato vita in questi giorni in Spagna ad un’espressione poco simpatica, ma di sicuro impatto: i “Balco-nazi”. Questi individui, i “balconazi”, operano attivamente come poliziotti da balcone, ammonendo, se non addirittura insultando coloro che circolano per strada (senza sapere, per esempio, se si tratta di persone che si spostano per lavoro o per motivi di reale necessità).
In situazioni eccezionali e di fronte ad una concreta minaccia collettiva, emerge quasi spesso la tendenza della società ad uniformarsi, senza distinzione di classi sociali e differenze culturali. In questo caso, il nemico non è tangibile, ma invisibile. Ma il nemico deve essere definito, e automaticamente personificato. Per sostenersi a vicenda, diventa necessario isolare e denunciare alcuni membri della società. La parte romantica della quarantena può trasformarsi velocemente e portare a comportamenti autoritari, con meccanismi di autodisciplina e controllo portati all’estremo.
Alle Canarie, fortunatamente la tendenza indica tutt’altro: le autorità locali, per rendere “la quarantena da balcone” più gradevole, hanno deciso di ridimensionare le tradizionali festività di Maggio allo spazio del balcone di casa. Diverse le iniziative avviate dai comuni per invitare la cittadinanza ad addobbare i propri balconi ispirandosi alle varie celebrazioni previste e necessariamente annullate, anche se, ad onor del vero, in Spagna è già usanza diffusa, decorare i balconi in occasione di eventi religiosi e tradizionali. Bene così. Molto meglio colori, croci e scialli appesi alle ringhiere, che fischietti sulla bocca di cittadini troppo zelanti.
Francesca Passini