Sappiamo per certo che Dante faceva parte dei Fedeli d’Amore, un movimento iniziatico che aveva il culto della Donna Unica allegorica, una sorta di confraternita legata ai Templari, formata sostanzialmente dai poeti del Dolce Stil Novo. Essi costituivano una setta spirituale segreta collegata alla poesia persiana, una poesia d’ amore che era inno alla Gnosi, alla conoscenza iniziatica che oltrepassa la ragione umana ed è proveniente dal profondo del cuore, propugnando un ritorno alla Ecclesia spiritualis di Gioacchino da Fiore in opposizione alla Chiesa corrotta (Ecclesia carnalis, quella i cui esponenti devono identificarsi con Bonifacio VIII e Clemente V).
Essi, per sfuggire all’inquisizione pontificia, comunicavano tra loro attraverso ballate e poesie d’amore scritte con fini diversi e un codice segreto. Introducendo nelle loro opere simboli esoterici, Dante e la “milizia” dei Fedeli d’Amore manifestavano certamente la loro adesione ideale e culturale allo spirito cavalleresco templare.
Nella sua opera giovanile “Vita nuova”, Beatrice viene rappresentata, oltre che come la donna amata da Dante, anche come simbolo della confraternita dei Fedeli d’Amore, della sapienza e della conoscenza sacra. Dante in altre sue opere (Convivio, De vulgari eloquentia, De Monarchia) sostiene che solo l’unione del papato con l’impero potesse condurre l’umanità alla salvezza: i Templari, monaci guerrieri che vivevano allo stesso tempo sia in maniera attiva che contemplativa, rappresentavano per il Sommo poeta il simbolo vivente di tale unione .
Dante termina la Divina Commedia nell’anno 1318. L’opera e’ indubbiamente pervasa da numerose allusioni e riferimenti, anche se in maniera non esplicita, ai Templari, al loro sacrificio e alla loro resurrezione.
In alcuni versi del canto XXX del Paradiso, Beatrice, nel cielo Empireo , luogo della presenza fisica di Dio, è contornata e protetta dal “convento de le bianche stole”, che altro non sarebbero che i cavalieri del Tempio, riconoscibili per i loro mantelli bianchi contraddistinti da un croce rossa sulla spalla.
«Noi siamo usciti fore del maggior corpo al ciel ch’è pura luce: luce intellettüal, piena d’amore; amor di vero ben, pien di letizia; letizia che trascende ogne dolzore.Qui vederai l’una e l’altra milizia di paradiso, e l’una in quelli aspetti che tu vedrai a l’ultima giustizia.»
“Mira quanto è il convento de le bianche stole!
Sempre negli ultimi cieli del Paradiso, Dante sceglie San Bernardo come guida (canto XXXII), e cio’ per la sua stretta relazione con l’Ordine del Tempio: nel 1128, circa dieci anni dopo la sua fondazione, questo Ordine ricevette la sua regola dal Concilio di Troyes, e fu proprio Bernardo che, in qualità di segretario del Concilio, ebbe l’incarico di redigerla. Bernardo espose poi tale regola nel suo trattato De laude novae militiae, evidenziandone con la sua eloquenza il contenuto, che si identificava nella missione e della creazione di una cavalleria cristiana, detta anche Milizia di Dio.
E` quindi evidente che il Sommo poeta abbia voluto comunicare e quindi tramandare l’insegnamento esoterico dell’Ordine templare attraverso la sua sublime, universale ed eterna opera poetica, che ancora oggi viene studiata in tutto il mondo: con la Divina Commedia, infatti, la Tradizione iniziatica giunge fino a noi , che siamo onerati però di “sollevare il velo”, cioè di cogliere la dottrina che si nasconde sotto l’apparente lettura dei versi strani:
“Voi che avete gl’intelletti sani, mírate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani” (Inferno,IX,versi 61-63).
Il filosofo e scrittore francese René Guenon, nella sua opera Esoterismo di Dante, fa riferimento a un medaglione che si trova custodito nel Museo di Vienna su cui c’è l’immagine di Dante e sul rovescio si trova la scritta F.S.K.I.P.F.T. che è stata da lui interpretata come “Frater Sacrae Kodos, Imperialis Principatus Frater Templarius”, dalla quale egli trae la conferma storica dell’appartenenza di Dante a un ordine iniziatico ed evidenzia il possibile nesso tra la gnosi templare ed il messaggio occulto della Divina Commedia: “L’associazione della Fede Santa, di cui Dante sembra sia stato uno dei capi, era un terz’ordine di filiazione templare e i suoi dignitari portavano l’appellativo di Kadosh, termine ebraico che significa santo o consacrato, e che si è conservato fino ai nostri giorni negli alti gradi della Massoneria…”.
Accanto ad un senso letterale della sua opera, Dante ne pone un altro “morale” e infine uno “allegorico”, che esprime valori e verità trascendenti, quello che permette una comprensione superiore, una trasformazione della coscienza. Dalla Tradizione Dante attinge allo schema narrativo del viaggio, come quello di Enea e di tanti altri eroi che da vivi affrontano gli Inferi per realizzare la loro missione.Dante sceglie Virgilio ricollegandosi alla tradizione iniziatica ( e infatti Virgilio nell’Eneide fa compiere ad Enea lo stesso viaggio sotterraneo fornendogli il ramo d’oro, che è stato tramandato nella tradizione cristiana con la palma del Venerdì santo, con la stessa valenza simbolica).
Confezionando le loro opere con simboli esoterici, Dante e i Fedeli d’Amore non fanno altro che richiamare la loro affiliazione, se non propriamente formale, almeno spirituale e conforme allo spirito cavalleresco dell’Ordine del Tempio, contrassegnato dell’esoterismo, che gli avrebbe consentito d’instaurare relazioni pacifiche con i musulmani. Nell’epoca in cui la Cristianità era impegnata a combattere contro l’Islam, il mondo mussulmano aveva riportato in Europa le grandi opere della filosofia greca e la conoscenza tradizionale, dato intercettato e colto, oltre che da Guenon, anche dai migliori commentatori danteschi come Foscolo, Pascoli, Valli, e, già nel XVIII secolo, da due religiosi spagnoli (J. Andrès e l’arabista Miguél Asìn-Palacios) che evidenziarono il parallelismo tra la Commedia ed alcuni testi musulmani come Il Libro della Scala di Maometto , Il libro del Viaggio notturno verso la maestà di Ibn Abbas (cugino del profeta Maometto), ed altri che illustrano analogo viaggio di Maometto nell’aldilà. Così nel mondo islamico troviamo l’episodio del viaggio notturno di Mohammed che si svolge attraverso la discesa negli Inferi e, poi, la risalita, l’ascensione verso i cielo e i paradisi, sicchè esso, presentando numerose spiccate somiglianze con la Divina Commedia di Dante, secondo alcuni, sarebbe visto come una delle principali fonti dell’ispirazione dantesca: i piani infernali, i cerchi della rosa mistica, i cieli, i cori angelici che accompagnano la luce divina e i tre cerchi símbolo della trinità di persone sarebbero stati ripresi dal Sommo poeta dall’opera scritta ottanta anni prima dal narratore musulmano andaluso Mohyiddin Ibn Arabi ( A.Cabaton, 1920,La Divine Comèdie et l’Islam), definito da Guenon il più grande dei Maestri spirituali. Il racconto del Viaggio notturno, considerato un testo sacro dell’Islam, fu tradotto in latino dal Notaio Bonaventura di Siena per volere del Re Alfonso X detto il Savio e fu la riscoperta di quest’opera che riaprì la questione delle fonti dell’ispirazione di Dante per la composizione della Divina Commedia.
Se è vero che ancora oggi occorre chiedersi se Dante abbia effettivamente conosciuto e letto i suddetti testi arabi di stampo islamico, va ricordato e tenuto ben presente l’incontestabile notevole interscambio culturale avvenuto nel corso dei secoli tra cristiani e musulmani.
*Avv. Alfonso Licata
Presidente della Società Dante Alighieri -Comitato delle Isole Canarie
Grande Ufficiale dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme
Cavaliere di Malta ad Honorem