Canarie, dopo il 18 maggio: tra memoria della piazza e prospettive di cambiamento

Scritto il 01/06/2025
da VivileCanarie ,

Le oceaniche manifestazioni del 18 maggio 2025, che hanno attraversato le Isole Canarie e raggiunto le piazze della penisola iberica e persino Berlino, hanno lasciato un’impronta profonda nel tessuto sociale e politico dell’arcipelago. Sotto lo slogan ormai emblematico «Canarias tiene un límite», decine di migliaia di persone hanno espresso, in modo pacifico ma fermo, una crescente insofferenza verso un modello economico imperniato sul turismo di massa, percepito da ampi strati della popolazione come insostenibile, iniquo e disancorato dai bisogni reali dei residenti.
A distanza di giorni, mentre i clamori delle piazze si affievoliscono, resta la sostanza di un movimento che ha saputo trasformare il malessere diffuso in una piattaforma di rivendicazione concreta. Resta, in primo luogo, una nuova consapevolezza civica, trasversale per età, estrazione sociale e provenienza geografica: la necessità di porre un freno alla crescita turistica illimitata, affinché essa non comprometta ulteriormente il delicato equilibrio ambientale, sociale ed economico delle isole.
Il cuore della mobilitazione non è stato un rigetto del turismo in quanto tale – che rappresenta, indubbiamente, una componente vitale dell’economia locale – bensì la richiesta di una regolamentazione più giusta, razionale e lungimirante. Il movimento ha evidenziato la distorsione prodotta da un modello che, pur generando introiti da record (oltre 25 miliardi di euro nel solo 2024), non ha impedito che più di un terzo della popolazione canaria viva in condizioni di precarietà economica. Di fronte a tali contraddizioni, la voce collettiva dei manifestanti ha invocato un cambio di rotta non più procrastinabile.
Fra le proposte più rilevanti emerse dal movimento spicca l’introduzione di una ecotassa, ossia un contributo economico richiesto ai visitatori, destinato a finanziare interventi di tutela ambientale e miglioramento delle condizioni di vita nei territori più afflitti dalla pressione turistica. Una misura già adottata in molte realtà europee simili, e che, nelle intenzioni dei promotori, servirebbe a sostenere la manutenzione delle aree naturali protette, la bonifica delle coste, la gestione sostenibile dei rifiuti, ma anche progetti di edilizia abitativa per i residenti, oggi schiacciati da un mercato immobiliare sempre più orientato agli affitti turistici brevi. L’ecotassa, in questa prospettiva, diventerebbe non solo uno strumento fiscale, ma un segnale di responsabilità condivisa tra chi visita e chi abita le isole.
Un elemento di rilievo, spesso trascurato nei resoconti più superficiali, è il ruolo della comunità internazionale di residenti stranieri, ormai parte integrante del mosaico umano e culturale delle Canarie. Molti di loro, provenienti da diversi paesi europei e non solo, non si limitano a soggiorni temporanei: hanno stabilito qui la loro dimora, avviato imprese, investito in attività legate all’accoglienza, all’agricoltura biologica, alla cultura e ai servizi. Il loro contributo all’economia locale è tangibile, e non pochi di essi hanno preso parte alle proteste, condividendone lo spirito e le finalità.
Per questi nuovi residenti – che spesso hanno scelto le Canarie attratti dalla qualità della vita, dalla stabilità e dal patrimonio naturale – le trasformazioni in corso rappresentano al contempo un’opportunità e un’incognita. Da una parte, essi auspicano politiche di maggiore tutela del territorio, che possano garantire un futuro sostenibile anche ai propri progetti di vita e impresa; dall’altra, osservano con attenzione il dibattito pubblico, nella speranza che le riforme non si traducano in rigidità punitive o in un clima di ostilità sociale. Costruire un equilibrio tra le esigenze della popolazione autoctona e il ruolo – spesso positivo – dei nuovi abitanti sarà una delle sfide più delicate da affrontare nei prossimi mesi.
Nel frattempo, le istituzioni locali hanno iniziato a reagire. Le dichiarazioni della consigliera regionale del Turismo, Jéssica de León, che ha aperto alla possibilità di riforme fiscali e a un dibattito parlamentare sul modello turistico, segnano un primo segnale di attenzione. Tuttavia, tra i promotori della protesta prevale un sentimento di cautela, se non di scetticismo: troppe promesse disattese in passato, troppi interessi in gioco, troppa distanza percepita tra i palazzi della politica e la realtà quotidiana dei cittadini.
Quel che è certo è che la manifestazione del 18 maggio non si è esaurita in un evento isolato, ma rappresenta un momento di passaggio, un punto di non ritorno per una parte significativa della società canaria. Assemblee cittadine, gruppi di lavoro, iniziative di boicottaggio e forme di partecipazione civica sono già in fase di organizzazione. Il movimento stesso ha dichiarato di voler proseguire il suo cammino anche nelle aule istituzionali, nelle commissioni tecniche e nei tavoli di pianificazione territoriale.
Le Canarie, dunque, si trovano di fronte a un bivio storico. L’alternativa non è tra turismo o decrescita, ma tra sviluppo cieco e sviluppo consapevole. Il vero banco di prova sarà la capacità collettiva di ridefinire il proprio futuro con equilibrio, visione e responsabilità. In gioco non c’è soltanto il paesaggio o il benessere economico, ma la possibilità per un popolo  e per chi ha scelto di farne parte di continuare a vivere in armonia con la propria terra